Trento – Guerra alla guerra-anarchici sui binari con cordini d’acciaio

TRENTO – La protesta contro la costruzione delle nuove caserme a
Mattarello passa anche attraverso i binari del treno. Non sono bastati
agli anarchici gli incontri di ieri, i cortei, gli striscioni
nell’ambito dell’iniziativa del campeggio antimilitarista al parco di
Gocciadoro. Ieri pomeriggio in due distinte occasioni gruppi di
anarchici hanno costretto i treni a soste forzate alle stazioni di
Lavis e Mori a causa di cordini d’acciaio posti sui binari.
A Lavis
i vigili del fuoco del posto sono intervenuti verso le 16.20 per
sganciare un cordino del diametro di un centimetro agganciato fra un
pilone (all’altezza di circa due metri) ed il binario. Il cordino era
lungo circa sette metri e correva trasversale lungo la ferrovia.
Secondo alcuni testimoni, un gruppo di anarchici avrebbe saltato la
recinzione della stazione e poco prima dell’arrivo del treno della
linea del Brennero avrebbe agganciato il cavo e esposto alcuni
striscioni. All’arrivo della polizia ferroviaria e della Digos i
partecipanti alla protesta – con il volto coperto da mascherine bianche
– avrebbero fatto perdere le proprie tracce.
Un’ora dopo un
episodio fotocopia è accaduto a Mori stazione: è rimasto bloccato per
oltre venti minuti il treno diretto a Verona che stava transitando
verso le 17.30. Il convoglio di passeggeri ha dovuto arrestare la sua
corsa davanti ad uno striscione. Era stato appeso con un cordino di
acciaio utilizzando due pali che si trovavano ai lati della via
ferrata. «Stop alla guerra», recitava lo slogan che gli agenti di
polizia intervenuti per rimuoverlo hanno subito collegato alle
manifestazioni organizzate nei dintorni del capoluogo per protestare
contro la costruzione delle caserme a Mattarello.
Il gruppo che
ieri ha fatto «incursione» allo scalo di Mori stazione dovrebbe essere
lo stesso che in mattinata si aggirava a Rovereto con plichi di
volantini contro le banche «che finanziano il commercio di armi». I
partecipanti hanno rallentato un po’ il traffico per consegnare i
volantini e si sono fermati davanti agli istituti «incriminati» (Banca
Intesa, Bnl e Unicredit) con un rudimentale cartone che spiegava le
ragioni del loro gesto. La protesta però è stata pacifica, senza
scontri con le forze dell’ordine che controllavano i loro movimenti.

Francia-Africa : accordi militari di « nuova generazione »


By ironriot at 20 giugno, 2009, 7:00 pm

Storicamente
la Francia ha sempre avuto una forte “presenza militare” in Africa
anche dopo la fine del periodo coloniale. La rinegoziazione di tali
accordi non sembra destinata a far diminuire il ruolo francese nel
continente africano

***

La morte del presidente gabonese Omar Bongo Ondimba, uno dei «
dinosauri » della “Francafrica”, ritarderà la negoziazione, già avviata
quest’anno su richiesta della Francia, di un nuovo accordo di difesa
tra Parigi e Libreville. Il testo in vigore, sottoscritto il 17 agosto
1960 durante l’avvio del processo di indipendenza del paese, prevede
che la Repubblica del Gabon « possa, in accordo con la Francia, fare
appello alle forze armate francesi per la sua difesa interna e da
aggressioni esterne ».

Malgrado l’impegno più volte ribadito dal governo francese a non
agire più come « gendarme d’Africa », i reparti francesi di stanza
permanente a Libreville potrebbero quindi – in virtù di questo accordo
vecchio di quasi 50 anni – essere chiamati ad assicurare,
all’occorrenza, il rimpatrio dei cittadini, la salvaguardia dei beni,
la protezione dei pubblici uffici (presidenza, ministeri, ambasciate),
dei siti strategici (porto, aeroporto, centrali elettriche, miniere) e
perfino intervenire – al fianco delle forze gabonesi – in operazioni di
sorveglianza delle frontiere o di controllo della popolazione [1].

Accordi simili, comprensivi, in certi casi, di clausole (non rese
pubbliche) di assistenza al governo nell’eventualità di « gravi
circostanze », erano stati conclusi anche con la Repubblica
Centrafricana (1960), la Costa d’Avorio (1961), il Togo (1963), il
Senegal (1973), il Camerun (1974), Gibuti (1977), le Comore (1978). Il
Libro Bianco sulla Difesa e la Sicurezza nazionale, pubblicato nel
giugno 2008, li definisce « appartenenti al passato », perché «
corrispondenti al momento storico della fine del processo di
decolonizzazione ».

Durante un discorso pronunciato davanti al parlamento sudafricano,
nel febbraio 2008, il presidente francese, Nicolas Sarkozy, aveva
annunciato la revisione di questi accordi di difesa considerati «
obsoleti » e sottoscritti da Parigi con le sue vecchie colonie, non
ritenendo « più conveniente intervenire nei conflitti interni ».
Sarkozy aveva promesso anche, in nome della « trasparenza », la
pubblicazione integrale di questi testi, una volta ratificati dai
parlamenti dei paesi firmatari.

A senso unico
Questa revisione, avviata qualche mese fa, ha avuto come conseguenza la
firma, a febbraio, di un nuovo accordo con Togo. Il suo contenuto non è
stato ancora reso pubblico, ma il nuovo testo – che abroga l’insieme
degli accordi conclusi precedentemente – escluderebbe ogni tipo di
impegno da parte dell’esercito francese a sostegno dei regimi. Si
tratta di un principio di reciprocità degli impegni presi dalle parti ;
ma come successo in passato, l’accordo non aveva impedito a questa
partnership di essere a senso unico – e tale resterà per forza di cose.

Un altro accordo di difesa di « nuova generazione » è stato siglato
nel maggio scorso con il Camerun, mentre il vecchio « accordo speciale
di difesa » con Parigi siglato nel 1974 era rimasto segreto. Ma questa
volta non si tratta più di questioni inerenti interventi militari
all’interno del paese. Il testo non evoca più nemmeno la fattispecie di
un’aggressione dall’esterno, ma si riferisce alla condivisione delle
informazioni, all’organizzazione di esercitazioni militari comuni e al
sostegno degli organismi di formazione. Il tutto nell’ottica di un «
rafforzamento delle capacità africane di mantenimento della pace » – il
vecchio « RECAMP » (ripreso a sua volta dall’Unione Europea, in accordo
con l’Unione Africana, ma di cui non si sa più nulla !).

Basi chiuse
Questi accordi di difesa « pesanti » – applicabili solo nella misura
richiesta dai due contraenti – sono serviti da copertura giuridica per
molti interventi militari controversi, particolarmente negli anni ‘80 e
‘90. La presenza militare francese permanente a Libreville, Bangui,
Abidjan, Dakar, Djibouti, giustificata dagli accordi, è in corso di
revisione.

La chiusura della base di Abidjan è quasi ufficiale : il presidente
Laurent Gbagbo non ha mai fatto mistero delle sue reticenze a proposito
della presenza dei soldati francesi. Secondo il Libro bianco bisognerà
ridimensionare il dispositivo militare francese in Africa nelle basi di
Dakar e Libreville [2] e concentrarsi su tre grandi impianti regionali
(ovest, centro, est), con un complemento nel sud-ovest dell’oceano
Indiano (La Réunion), e nel Golfo persico (Abou Dhabi).

Sostegno senza partecipazione ?
Questi accordi detti « di difesa » sono distinti dagli accordi tecnici
militari siglati con 27 paesi africani, che non sono stati
ufficialmente messi in discussione e che riguardano le facilitazioni
per lo scalo e il transito, il sostegno logistico, lo scambio di
informazioni, l’aiuto alla formazione e all’addestramento, il personale
delle basi, la fornitura dei materiali e degli armamenti, etc.
Ma l’esempio del Ciad – mai legato alla Francia da accordi di difesa,
nonostante i militari francesi conducano interventi dalla fase della
raggiunta indipendenza del paese – dimostra che ci sarebbe ugualmente
interesse a rivedere questi accordi « tecnici ». Il « sostegno senza
partecipazione » dell’esercito francese ha salvato il regime del
presidente Idriss Deby già molte volte in questi ultimi anni…

Note
[1] Una « convenzione speciale relativa al mantenimento dell’ordine », siglata nel 1961, è rimasta segreta.

[2] L’attuale base in Gabon (980 uomini) si “irradia” sulla
Repubblica Centrafricana e sostiene le forze francesi in Ciad e in
Costa d’Avorio. Svolge la funzione di « serbatoio » delle forze
preposte per le « operazioni all’estero » francesi in Africa dell’ovest
e centrale.

Philippe Leymarie, collaboratore di “Monde diplomatique”, si occupa
di questioni africane e di difesa su Radio-France internationale (Rfi).
E’ l’autore, con Thierry Perret, de “Le 100 chiavi dell’Africa”
(Hachette littérature, 2006)

Titolo originale:

France-Afrique : des accords militaires « nouvelle génération »

by Philippe Leymarie
Published in Analisi & Reportages, Italiano,
on 20/06/2009
Country: France,
Website: Le Monde Diplomatique,

Fonte: MedarabNews, 20 giugno 2009

Afghanistan, contadino ucciso a Farah: sul blindato che ha sparato c’era scritto ‘Italia’

 

By ironriot at 13 giugno, 2009, 8:14 am

La conferma arriva dagli abitanti del villaggio di Pusht-e-Rod: “Ne siamo certi”

 

Fonti della nota associazione femminista afgana Rawa (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan), contattate da PeaceReporter,
hanno confermato che erano italiani, non statunitensi, i soldati che lo
scorso 16 maggio hanno ucciso un contadino afgano di trent’anni, Abdul
Manan, nella provincia di Farah, nel villaggio di Pusht-e-Rod.
“Abbiamo nuovamente contattato gli abitanti del villaggio – ci scrive Rawa
e ci hanno detto che sul blindato da cui hanno sparato al contadino
c’era scritto ‘Italia’ in caratteri persiani. Ne sono sicuri”.

Già
nei giorni scorsi, la stessa associazione aveva diffuso la notizia
dell’uccisione di Abdul Manan riportando che, secondo i residenti del
suo villaggio, a sparare erano stati soldati italiani. “La sera del 16
maggio – scriveva Rawa – Abdul Manan stava lavorando nel suo
campo quando truppe straniere gli hanno sparato e lo hanno ucciso
usando un’arma che gli ha provocato gravi ustioni sul volto e sul
corpo. Anche se la nazionalità dei militari non è stata resa nota, la
gente del posto dice che erano italiani. Il giorno dopo, gente del
villaggio ha portato il cadavere davanti all’ufficio del governatore di
Farah per protestare e per chiedere giustizia. Il governatore non ha
voluto riceverli e loro, infuriati, hanno provato a fare irruzione
nell’edificio. La polizia li ha respinti sparando in aria e così sono
tornati al villaggio con il cadavere”.

L’agenzia di stampa afgana Quqnoos lo
scorso 19 maggio aveva riportato la notizia di un contadino ucciso
nello stesso distretto, ma da soldati statunitensi. Si tratta
certamente dello stesso fatto, poiché anche in quel caso si parlava di
proteste davanti all’ufficio del governatore e di pesanti ustioni sul
cadavere che, secondo l’agenzia afgana, erano state provocate da una
granata lanciata dai soldati stranieri sul corpo del contadino dopo
avergli sparato.

 

Enrico Piovesana

 

Fonte: Peace Reporter, 10 giugno 2009