[Corriere] Da Padova all’Emilia Romagna: dove la sinistra dice sì alle ronde

ROMA — Anche il
centrosinistra ha un’anima «rondista». Prima an­cora dell’approvazione
del ddl sul­la sicurezza voluto dal centrodestra e in particolare dalla
Lega, diverse amministrazioni guidate dal Pd hanno dato il via libera
alle squa­dre di volontari per la sicurezza, per il presidio del
territorio o per il decoro urbano. Appunto le ronde, anche se
preferiscono chiamarle «associazioni civiche».

Il laboratorio delle «ronde dolci» di centrosinistra è l’Emilia
Roma­gna. Qui una legge regionale voluta dal governatore Vasco Errani
nel 2003 ha spianato la strada alle asso­ciazioni civiche che mandano i
vo­lontari davanti alle scuole, nei par­chi, addirittura nei cimiteri.
«Ma so­no contrario alle ronde per la sicu­rezza », ha ribadito Errani
quando il ddl del governo è arrivato al Senato per l’approvazione
definitiva. E Giorgio Pighi, sindaco riconfermato di Modena, esponente
del Pd e fra i fondatori dell’Ulivo, ha spiegato: «Le nostre non sono
le ronde che piacciono alla Lega, non c’entrano nulla. In comune
abbiamo solo il fat­to che i cittadini prestano la propria opera
volontariamente. Ma il no­stro è un approccio culturale: le no­stre
squadre lavorano per il ripristi­no del decoro urbano, cancellando le
scritte o aggiustando la panchina divelta nel parco, e per portare
coe­sione sociale. Le ronde che vuole la Lega non puntano alla coesione
e al­la solidarietà sociale. E’ un presidio del territorio con finalità
quasi inti­midatorie ». In realtà, però, anche in Emilia Romagna c’è
chi nel Pd ave­va intravisto nelle ronde un aiuto al­la sicurezza:
Sergio Cofferati, quan­do era sindaco di Bologna, nello scorso febbraio
aveva affermato che i cittadini «possono dare un contri­buto al
presidio del territorio», pur­ché le iniziative non assumano «co­lore o
valenza politica».

E anche nella Lombardia domi­nata dal verde della Lega e
dall’az­zurro del Pdl, ci sono stati ammini­­stratori di spicco del Pd
che hanno aperto più di uno spiraglio alle ron­de: Filippo Penati,
prima di perde­re la presidenza della Provincia di Milano, aveva
stanziato 250 mila euro a favore dei Comuni del terri­torio per
finanziare le associazioni di volontari. Una mossa, quella di Penati,
che è andata oltre a quanto stabilito il governo, secondo il qua­le le
ronde non devono gravare sul­le casse pubbliche.

E ancora in Liguria c’è il caso Al­benga: il sindaco Antonello
Tabbò, centrosinistra, aspettando di poter installare decine di
telecamere per la videosorveglianza ha lanciato una sorta di «ronde
istituzionali». Lui stesso, insieme agli assessori della sua giunta e
ai consiglieri di maggioranza, è sceso in strada di notte accompagnando
nei pattuglia­menti polizia municipale e forze del­l’ordine, anche se
con una valenza simbolica più che reale: «Per far sen­tire ai vigili e
alla cittadinanza che siamo loro vicini nella lotta per la si­curezza ».

E nella vicina Massa, invece, il sindaco del Pd, Roberto Pucci, si è
schierato contro le ronde, che però sono lo stesso scese in strada,
orga­nizzate dai consiglieri locali de La Destra, sotto lo slogan
«Soccorso so­ciale e sicurezza», con i volontari ar­mati di cellulare,
torce metalliche e spray al peperoncino. Quando la leg­ge approvata
giovedì entrerà in vi­gore, però, bombolette urticanti e torce
metalliche dovranno essere ri­posti nell’armadio, perché i volonta­ri
non potranno portare «alcun og­getto atto a offendere».

La patria delle ronde è comun­que il Veneto. Qui il Carroccio ha
or­ganizzato le squadre di volontari in piccoli e grandi centri. Ma
anche il Pd si è mosso. Achille Variati, sinda­co di Vicenza, ha
annunciato l’istitu­zione di una scuola per volontari della sicurezza.
Flavio Zanonato, confermato alle ultime amministra­tive alla guida di
Padova, già in pas­sato ha schierato i «nonni-vigili» davanti alle
scuole e nei parchi: «Di­ciamo che sono delle ronde anche queste, e io
sono favorevole a utiliz­zare la collaborazione dei cittadini per il
presidio del territorio. Perché la presenza di una squadra di
volon­tari in un parco può scoraggiare gli spacciatori. Un’altra cosa è
quando sento parlare di ronde come quelle che vogliono i leghisti, che
rischia­no di diventare una polizia politica al servizio di
un’ideologia. Con il termine ronda, poi, viene indicato anche un altro
fenomeno: quello delle manifestazioni spontanee in piazza di comitati
di cittadini che re­clamano sicurezza. Queste non so­no ronde vere e
proprie. Sono inizia­tive legittime ma non procurano si­curezza. Anzi
paradossalmente as­sorbono energie delle forze dell’or­dine che per
tutelare la sicurezza dei partecipanti sono costrette a tra­lasciare
altri incarichi».

Al Sud almeno due sindaci di centrosinistra si sono detti
favore­voli alle ronde: Michele Emiliano (Bari) e Vincenzo De Luca
(Saler­no). Purché però siano «intese co­me squadre di cittadini che
volon­tariamente collaborano al control­lo del territorio, ma senza
connota­zione politica».

G8 Genova 2001. Assolti quattro poliziotti accusati di arresti illegali

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Erano
accusati di aver arrestato illegalmente due studenti spagnoli durante
le manifestazioni del G8 di Genova, nel luglio del 2001, ma sono stati
assolti per insufficienza di prove.

Sul banco degli imputati quattro agenti di polizia, Antonio Cecere,
Luciano Beretti, Marco Neri e Simone Volpini, all’epoca dei fatti in
forza al settimo reparto mobile di Bologna.
Per loro il pm Francesco Cardona Albini aveva chiesto condanne a
quattro anni di reclusione per falso ideologico in atti pubblici,
calunnia e abuso d’ufficio. Il reato di falso ideologico è stato
prescritto, agli altri due reati, constatata l’insufficienza di prove,
è invece stata applicata la formula del ragionevole dubbio.

Secondo il pm genovese, i due giovani spagnoli sarebbero stati
accusati ingiustamente di aver lanciato una bottiglia incendiaria e di
essersi scagliati contro gli agenti impugnando una sbarra di ferro. Gli
arresti erano stati effettuati nella zona di piazza Manin dove
manifestavano varie associazioni religiose e pacifiste.

Casa Pound: dietro la maschera

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Dai
colloqui riservati dei dirigenti: un’organizzazione ipercentralizzata
con doppi livelli, la paura degli infiltrati, il servizio d’ordine e i
rapporti con la Digos
Saverio Ferrari – Osservatorio democratico – 09/07/2009

Duemila tesserati e migliaia di simpatizzanti, sedi su tutto il
territorio nazionale, 15 librerie, otto associazioni sportive, una web
radio con 25 redazioni in Italia e dieci all’estero”. Con queste parole
Gianluca Iannone, presidente di Casa Pound Italia, il 22 giugno scorso
ha introdotto i risultati raggiunti dall’associazione, festeggiando il
primo anno di attività, a Roma ad Area 19, una delle quattro
occupazioni poste sotto l’egida del gruppo.
È stata anche l’occasione per sottolineare come ben 150 siano state le
conferenze organizzate e che a Casa Pound Italia fanno ormai
riferimento “dieci gruppi musicali, una compagnia teatrale, una
galleria d’arte e un circolo di cultura cinematografica”, ma
soprattutto il Blocco studentesco che “ha conquistato 120
rappresentanti alle Superiori e 37 mila voti solo a Roma con una media
del 18% dei consensi”. “È stato un anno intenso” – ha concluso Iannone
– “che ha portato a risultati che vanno oltre quanto sperassimo, a
cominciare dalla capacità del Blocco studentesco di guidare la protesta
contro la riforma Gelmini”. Un giudizio decisamente ben oltre il vero
anche se è indubbio che questa realtà di Casa Pound nel suo complesso
rappresenti un fenomeno in crescita. Quasi un piccolo evento mediatico.
I riconoscimenti a destra si sprecano: solo negli ultimi mesi la sede
romana di via Napoleone III ha ospitato, a febbraio, la presentazione
di un libro dell’ex brigatista rosso Valerio Morucci con Giampiero
Mughini e il vicecapogruppo del Pdl in Campidoglio Luca Gramazio,
occasione per lanciare un appello a “mettere fine al meccanismo
diabolico dell’antifascismo”, e successivamente il 2 aprile, la
proiezione del film-documentario apologetico su Bettino Craxi “La mia
vita è stata una corsa”, con tanto di intervento della figlia, nonché
attuale sottosegretario agli esteri, Stefania Craxi.
Recentemente è stato anche pubblicato dalle edizioni Contrasto un
interessante libro foto-giornalistico su Casa Pound: “OltreNero. Nuovi.
Fascisti. Italiani” di Alessandro Costelli e Marco Mathieu. Una ricerca
più antropologica che politica. Ultima in ordine di tempo, a fine
maggio, l’intervista su l’Altro a Giancarlo Iannone da parte di Ugo
Maria Tassinari, da sempre loro entusiastico sponsor, che ha suscitato
non poche critiche e rimostranze a sinistra.
Ma dietro le quinte la realtà sembra ben diversa da quanto appaia. Non
proprio nuova, si potrebbe dire, anzi, decisamente datata. Sulla base
di alcuni colloqui riservati, raccolti casualmente, sfuggiti via
internet all’uso esclusivo dei dirigenti, emergerebbe, infatti, non
proprio la dimensione di un universo così originale, scevro da dogmi e
aperto al dialogo con tutti.
Il dibattito interno a cui ci riferiamo è dell’aprile scorso. Ebbene,
il capo, ovvero Gianluca Iannone, dietro lo pseudonimo di Geronimo, nel
relazionarsi con i dirigenti locali sparsi sul territorio, così
illustra e detta le linee organizzative: “Le comunità vanno strutturate
in cerchi concentrici, il primo deve essere il direttivo, il secondo
cerchio deve essere quello della comunità e poi i vari cerchi con tutti
gli altri. Per comunità intendo un insieme di persone che mantengono un
segreto, uno zoccolo duro serrato, fido, agguerrito…”. Il terrore è
quello delle infiltrazioni: “Siate sempre diffidenti” – dice – “occhio
soprattutto a vecchi camerati di vecchie organizzazioni che si
riaffacciano dal nulla. Noi vi fidate di nessuno. Siamo una foresta che
cresce . Occhio ai parassiti”.
In questo quadro, tra citazioni di Alessandro Pavolini e altri, si
invita tutti a “dare informazioni il meno possibile”. “Chi vuole
conoscerci realmente” – queste le conclusioni – “chiama e si fissa un
appuntamento. In questo periodo dobbiamo essere molto selettivi”.
Anche il mondo delle curve è vissuto con un certo sospetto: “Se inteso
come contenitore per aggregare e poi formare al di fuori, lo stadio è
fondamentale e ho grande rispetto per i gruppi perché anche noi ne
abbiamo uno forte e radicato”, ma “gli stadi pullulano di infiltrati.
La politica trasportata nello stadio porta dietro un sacco di controlli
e situazioni con le forze dell’ordine”. L’impianto sembrerebbe quello
già sperimentato delle formazioni neofasciste degli anni Settanta,
ipercentralizzate e compartimentate, con doppi livelli, impermeabili e
pronte allo scontro non solo politico. “Ogni regione” – è sempre
Iannone a parlare – “deve avere un minimo di 10 elementi facenti parte
del servizio d’ordine nazionale che faranno capo direttamente al
coordinatore regionale e al sottoscritto. Compito dei coordinatori
regionali è individuare gli attivisti più portati a discipline marziali
e unirli sotto il servizio d’ordine locale. Il servizio d’ordine deve
essere basato su un reale allenamento settimanale e una serie di
letture mirate che saranno comunicate in seguito. Bell’aspetto
(interiore ed esteriore) e sangue freddo sono solo i primi due
requisiti per accedere a questa struttura che avrà riunioni nazionali e
compiti delicati. Appartenere al servizio d’ordine è un onore che non
tutti possono rivestire. Scegliete bene”.
C’è dunque un piccolo Duce al vertice di Casa Pound che tutto decide e
comanda, ma soprattutto sarebbe interessante sapere a cosa dovrebbe
servire un servizio d’ordine e quali siano “i compiti delicati” di cui
si parla. Anche alla luce di alcune inquietanti ammissioni in relazione
ai rapporti non sempre conflittuali che sembrerebbero intercorrere tra
alcune sedi di Casa Pound e le Digos locali. “Solita amicizia con la
Digos” – comunica il responsabile di Siena a cui fa da sponda Perugia –
“Qua la situazione è la solita, fanno gli amiconi e i cammarati”.
Storie già sentite. Anche queste.

scrive la madre di Marcello Lonzi

 

Livorno 11 Luglio, per non dimenticare Marcello Lonzi

CHE VERGOGNA!

Sono Maria Ciuffi, madre di Marcello Lonzi e voglio fare questo appello prima del racconto della
giornata di ieri in Procura di Livorno. Credo che con la nostra presenza al presidio di sabato 11 luglio
2009 dalle ore 17 alle ore 21
, dove ricorderemo a 6 anni esatti la morte di Marcello per mani dei secondini, davanti al carcere delle Sughere di Livorno,
anche dedicandogli un concerto fino alle ore 21, dobbiamo sottolineare
che la verità sull’assassinio di Marcello non può essere fraintesa o
nascosta con mezze verità e non capisco le difficoltà a chiudere
l’indagine quando tutto è rintracciabile: gli orari di servizio, la
presenza del personale, le dichiarazioni dei detenuti, i cambiamenti
accomodanti dell’ora esatta della morte di Marcello, le coperture
rivelatesi ambigue ed inconsistenti della direzione del carcere ed
infine lo scandaloso referto medico-legale di infarto o stress. I
colpevoli sono certamente individuabili ma nessuno li vuole incolpare.
"non ho fiducia nella giustizia che vede con gli occhi dello stato"
Ciao a tutti all’11 luglio alle ore 17 davanti al carcere di Livorno.
Questo è un resoconto dell’incontro in Procura del l’8 luglio 2009.
"Sono stata 50 minuti nell’ufficio del Procuratore capo della Procura
di Livorno Dott. De Leo, per avere notizie relative agli ultimi
sviluppi dell’inchiesta sulla morte di Marcello. Dopo una chiacchierata
-incontro sull’inchiesta in generale ho chiesto certezze relative
all’individuazione dei colpevoli della morte di mio figlio e lo
smascheramento delle coperture istituzionali dei colpevoli. Alla mia
determinazione
nel sospetto di forti perplessità sulla paura di toccare i colpevoli, cioè i secondini, riferendomi
anche alla morte di Aldrovandi, abbiamo parlato anche del fatto che per i suoi genitori si siano
comunque individuati dei colpevoli, il dott. De Leo ha annuito con la
testa. A questo punto io ho proprio detto: "non è che c’è qualcuno che
ha paura dei secondini?" Il dott. De Leo mi ha risposto " Io no, non ho
paura della polizia penitenziaria " Io ho ribadito le mie perplessità
relative alla lungaggine pretestuosa dell’indagine che non è, ad oggi
dopo 6 anni dalla morte di Marcello, arrivata a nessun risultato.
Nonostante che le foto del suo corpo martoriato parlino molto
chiaramente delle cause reali che hanno provocato la sua morte. Il
dott. De Leo comprendeva le mie perplessità ma ribadiva le vie ed i
tempi dell’inchiesta che forse chiuderà a dicembre dopo aver acquisito
la consulenza medico legale richiesta, che è basata sull’esame delle
fotografie.Dovrebbe essere facile!. Vi faccio un riassunto del percorso
relativo alle consulenze medico-legali dell’inchiesta. Il dott. Bassi
Luciani Alessandro ha effettuato la prima autopsia richiesta dal dott.
Pennisi Roberto della Procura di Livorno che fece scattare
l’archiviazione visto il referto di morte naturale per infarto o
stress, con il riscontro di 2 costole rotte. Alla riesumazione della
salma il Prof. De Ferraris di Brescia, nominato dalla Procura di
Livorno dal Dott. Giaconi e il dott. Marco Salvi di mia nomina
riscontrarono 8 costole rotte ed altre gravi incongruenze con il primo
referto medicolegale.
Mi domando a cosa può servire questa nuova consulenza basata sulle fotografie che tra
l’altro parlano da sole anche a chi non sa niente di infarto o stress.
Fotografie che parlano di un corpo martoriato e pestato a sangue fino
alla sopraggiunta morte. A questo proposito riporto anche questa mia
diretta testimonianza. Ero presente alla testimonianza di un allora
detenuto nella sezione dove è successo il fatto alle Sughere. La sua
dichiarazione afferma che tra le 15,30 e le 17 i secondini hanno chiuso
i blindati (I portoni delle celle) e nella sezione si sentivano voci
sconosciut e e rumori distinti di tramestii e passi veloci che facevano
intuire , meglio capire, che stava succedendo qualcosa di grave a
qualche detenuto della sezione. Solo l’indomani mattina del 12 vennero
a sapere della morte di mio figlio. In quella occasione il dott.
Giaconi immediatamente mi ha fatto entrare nella stanza e il testimone
dopo la lettura con me presente ha confermato tutto firmandola e il
dott. Giaconi ha aggiunto " A questo punto entra la signora Maria
Ciuffi " Anch’io apponevo la mia firma sul verbale. Se si procedesse
con la logica dei riscontri processuali le vere cause e i veri
colpevoli dell’omicidio di Marcello avrebbero già un nome e anche un
cognome. Che vergogna! Quando la verità indica quello che succede
all’interno di una istituzione come il carcere
non la si vuole ammettere!
Ciao a tutti i solidali.
Maria Ciuffi.

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Maria Ciuffi

Perchè il ricordo di Marcello Lonzi, ucciso 6 anni fa dai secondini
durante un pestaggio selvaggio nel carcere "Le Sughere" di Livorno, non
venga mai cancellato.

Perchè Marcello purtroppo non è stato e non sarà il solo.

Perchè sappiamo che lo stato uccide, per mano di polizia e carcerieri, nelle patrie galere e nelle nostre strade.

Perchè le vessazioni e le torture non vengono inflitte solo in
luoghi lontani, ma anche nelle nostre "democratiche" città.
Nell’indifferenza sta la macabra e scomoda realtà delle cose, a due
passi dalle nostre case, dai nostri posti di lavoro, basta solo alzare
finalmente la testa.

Perchè non rimarremo mai indifferenti e non ci volteremo mai
dall’altra parte di fronte alle nefandezze e agli orrori che lo stato
per il profitto e il mantenimento del proprio èpotere, elargisce a
piene mani, ogni giorno, perchè sappiamo che lo stato non processerà
mai se stesso e che la giustizia non si trova nei tribunali.

E la rabbia arderà sempre piu’ nei nostri cuori, e la asolidarietà si fa arma.

A sei anni9 dall’11 luglio 2003 lo stato continua a difendere i suoi scagnozzi.

Per noi sin dal primo giorno gli assassini di Marcello hanno un nome: le guardie, il carcere, lo stato.

MARCELLO SI RICORDA, MARCELLO SI VENDICA!

SABATO 11 LUGLIO, ORE 17: PRESIDIO DAVANTI AL CARCERE "LE SUGHERE"

Dalla mamma di Marcello:

Mio figlio e’ morto l’11 luglio nel 2003 nel carcere Le Sughere di Livorno.

Faceva molto caldo come oggi, ero li’ sola a combattere, o per

meglio dire, cominciavo una battaglia piu’ grande e pericolosa di me.

Ricordo chiaramente che i secondini fecero di tutto per non farmi

lasciare un mazzo di fiori li’, su quel piccolo spazio in un angolo

vicino al cancello del carcere. Erano in 5, una donna e 4 uomini,

fu proprio lei, un’ ispettrice che guardandomi negli occhi mi disse

che non potevo lasciare lasciare li’ i fiori. Poi, vedendo la mia

insistenza, mi chiese:”Signora, ma ha pagato la tassa al comune?

Perche’ sta occupando un suolo pubblico!” Non credevo a quelle

parole, mio figlio era morto, lo avevano ucciso, ma per loro c’era

solo freddezza e indifferenza.

Oggi a distanza di 6 anni, grazie a voi tutti! alle persone che ho

conosciuto personalmente, ma un grazie particolare va a coloro che

sono venuti da lontano per starmi vicino nella mia battaglia per la verita’.

Senza voi tutti non so se sarei riuscita ad andare avanti, perche’ la

forza me l’avete trasmessa, di mio c’e’ che sono una che non molla.

Ci sono stati degli indagati, e siamo arrivati quasi al capolinea,

una battaglia che piano piano abbiamo percorso insieme, ed insieme

la dobbiamo vincere.

SABATO 11/7 DALLE ORE 17 SARO’ ANCORA DAVANTI

AL CARCERE PER RICORDARE L’ANNIVERSARIO DELLA

MORTE DI MIO FIGLIO MARCELLO. SPERO CHE SAREMO

IN TANTI.

UN ABBRACCIO FORTE E UN GRAZIE A TUTTI

MARIA CIUFFI

la Red di
http://tuttosquat.net/news/livorno-11-luglio-per-non-dimenticare-marcell…

Grecia – Compagni e migranti in marcia contro fascisti e pulizia urbana

stralci da un comunicato su indymedia atene – http://athens.indymedia.org/front.php3?lang=el&article_id=1055129

Negli ultimi tempi, lo stato greco e i suoi scagnozzi neo-nazi
stanno cercando di intensificare gli attacchi contro i migranti poveri.
Per il 7 luglio, anarchici e antiautoritari hanno indetto una marcia ad
Atene, in risposta ai recenti attacchi dei fascisti nei quartieri
abitati da migranti, volti a impedire il loro ingresso in giardini,
parchi e spazi pubblici in generale, nonché contro le operazioni di
“pulizia urbana” operate dalle forze dell’ordine. Una situazione non
dissimile da quella che si respira in Italia, con lo stesso processo di
propaganda xenofoba operata da media e forze politiche che si completa
in attacchi di strada e nel generale silenzio assenso alla detenzione
di massa e prolungata nei campi di detenzione per migranti.

La marcia è partita alle 20 da piazza Omonoia, nel centro di Atene,
circa 2500 persone; la polizia che, visti i numeri, si tiene a debita
distanza. Centinaia di volantini di contro-informazione, discorsi e
azioni: come la distruzione di telecamere di sorveglianza e bancomat.

La manifestazione si dirige verso verso Agios Panteleimonas,
quartiere scenario di recenti attacchi di ultra-nazionalisti contro i
migranti. Quando la testa del corteo si accingeva a entrare nell’area,
la polizia ha iniziato a lanciare lacrimogeni e “granate shock” (che
fanno botto e flash). La risposta del corteo sono state pietre, molotov
e fumogeni. Insieme alla polizia anche squadracce di
ultra-nazionalisti, uno di questi si da fuoco cercando di usare una
molotov contro i compagni, uno sport in cui i fascisti non riescono
bene. I manifestanti hanno striscioni in greco, inglese, francese,
arabo e albanese, come “Guerra ai padroni – Solidarietà con i migranti”.

La marcia, ben difesa, si sposta verso l’ASOEE, università di
economia. Compagni che entrano nel campus, altri che escono per
fronteggiare la polizia. Molti migranti partecipano alla manifestazione
e attaccano i Deltades, guardie schierate in attesa che arrivino i
poliziotti, in piazza Victoria.  Dopo il corteo, il quartiere di Agios
Panteleimonas risulta ripulito da fascisti e polizia.