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Grazie Gaetano!
Un pensiero a Gaetano Bresci, che 109 anni fa uccise il tiranno Re Umberto I.
Certe azioni, come i sentimenti che le ispirano, non sbiadiscono col tempo.
Grazie Gaetano!
19 LUGLIO 1936 SPAGNA: RIVOLUZIONE SOCIALE!
Operai,contadini,militanti politici e sindacali,intellettuali scendono in campo contro il golpe del generale Francisco Franco.
Erigono barricate e assaltano le caserme dei militari.
Il popolo in armi blocca il fascismo in gran parte della Spagna.
Cuore di questa rivolta sono la Catalogna e la CNT,il sindacato anarchico.
Ma non si tratta soltanto di una risposta al fascismo.
In quel breve periodo(1936-1939)viene scritta una delle pagine più esaltanti dell’emancipazione umana.
E’ un momento di grandi speranze,di forti passioni,di febbrile attività.
Le terre vengono collettivizzate,le fabbriche occupate e le città liberate dalle milizie popolari.
La società viene riorganizzata dal basso e in senso libertario.
E’ rivoluzione sociale.
Che verrà purtroppo soffocata dalle esigenze della guerra,dalla politica e dall’azione controrivoluzionaria del partito comunista e delle altre forze repubblicane e infine dalla sconfitta militare.
Analizzare e ricordare questa esperienza oggi provoca ancora riflessioni e confronti incredibilmente stimolanti,sia sulla valenza e l’attuabilità dell’anarchismo e dell’autogestione,sia sulle strategie e la capacità di rinnovarsi del potere.
Per non lasciarci schiacciare come in passato…
W l’Anarchia!
K.
foibe
Le foibe:il nazionalfascismo e il nazionalcomunismo a confronto.
A distanza di più di sessant’anni l’unica differenza che vedo è che i comunisti hanno almeno il pudore di non voler ricordare.
« Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. […] I confini dell’Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani »
(Benito Mussolini, discorso tenuto a Pola il 24 settembre 1920)
La situazione degli slavi si deteriorò con l’avvento al potere del fascismo, nel 1922. Fu infatti varata in tutta Italia una politica di assimilazione delle minoranze etniche e nazionali, che prevedeva l’italianizzazione di nomi e toponimi, la chiusura delle scuole slovene e croate e il divieto dell’uso della lingua straniera in pubblico. Simili politiche di assimilazione forzata erano all’epoca assai comuni, ed erano applicate, fra gli altri, anche da paesi democratici (come Francia e Regno Unito). Da notare che furono adottate dalla stessa Jugoslavia, dove si verificarono anche episodi di repressione violenta.
L’azione del governo fascista annullò l’autonomia culturale e linguistica di cui le popolazioni slave avevano ampiamente goduto durante la dominazione asburgica e incrementò i sentimenti di inimicizia nei confronti dell’Italia.
Lo Stato italiano in un primo tempo espresse l’intenzione di rispettare le minoranze etniche, ma questa volontà si scontrò ben presto con il nascente fascismo, che proprio in Venezia Giulia conobbe alcuni dei suoi episodi più violenti (il cosiddetto "fascismo di frontiera"), sia di matrice terrorista, sia legalitario e culturale, considerati dagli squadristi come due facce della stessa medaglia. L’episodio più noto fu l’incendio del Narodni dom, la "Casa nazionale slovena" a Trieste, compiuto da squadristi fascisti, come ritorsione ad incidenti antiitaliani avvenuti a Spalato.
Nell’aprile del 1941 l’Italia partecipò all’attacco dell’Asse contro la Iugoslavia, in seguito al colpo di stato che aveva spodestato il governo di Belgrado il 25 marzo 1941 instaurando una giunta filo-inglese e filo-sovietica. L’Italia si annesse una grande parte della Slovenia (dove fu costituita la provincia di Lubiana), la Dalmazia settentrionale e le Bocche di Cattaro.
Inizialmente tranquilla per gli italiani, la situazione nei territori ex iugoslavi annessi, divenne incandescente dopo l’aggressione tedesca all’URSS il 22 giugno 1941, allorché le cellule comuniste "dormienti" in tutta Europa vennero scatenate da Stalin contro l’ex alleato dell’Asse. In tutta la Jugoslavia, allora, iniziò una feroce guerriglia – ben presto degenerata in guerra civile – che coinvolse le truppe italiane in un crescendo di violenze e atrocità reciproche. La repressione italiana fu pesante e in molti casi furono commessi crimini di guerra.
Un graduato italiano colpisce un ostaggio condotto alla fucilazione (dall’Archivio della Fondazione Istituto per la storia dell’età contemporanea – Isec Onlus)
In Dalmazia venne da subito instaurata una politica di italianizzazione forzata, spesso ottusa e maldestra, che esasperò i rapporti con la popolazione, suscitando la riprovazione degli stessi dalmati italiani.
Per reprimere la guerriglia furono istituiti campi di concentramento in cui furono reclusi elementi slavi giudicati "sediziosi". Tra questi si ricordano quelli di Arbe e di Gonars.
Slovenia 1942 – Il plotone di esecuzione composto da militari italiani e da belagardisti (Guardia bianca slovena) è pronto per l’esecuzione
L’8 settembre 1943 con l’armistizio tra Italia e Alleati, si verifica il collasso del Regio Esercito. Il 9 settembre le truppe tedesche entrarono a Trieste. In questo periodo (13 settembre 1943) si proclamò il "distacco" dell’Istria dall’Italia e l’annessione alla Jugoslavia. Il 29 settembre 1943 venne istituito il Comitato esecutivo provvisorio di liberazione dell’Istria.
Parallelamente al consolidamento del controllo germanico sul capoluogo giuliano, su Pola e su Fiume, i partigiani occuparono buona parte della penisola istriana, mantenendo le proprie posizioni per circa un mese. Improvvisati tribunali popolari, che rispondevano ai partigiani dei Comitati popolari di liberazione emisero centinaia di condanne a morte. Le vittime furono rappresentanti del regime fascista e dello Stato italiano, oppositori politici, ma anche semplici personaggi in vista della comunità italiana e potenziali nemici del futuro Stato comunista jugoslavo che s’intendeva creare. A Rovigno il Comitato rivoluzionario compilò una lista contenente i nomi dei fascisti, ma anche di persone estranee al partito ma rappresentanti lo stato italiano (fascista n.d.r.), i quali vennero arrestati e condotti a Pisino. In tale località furono condannati e giustiziati assieme ad altri fascisti italiani e croati. La maggioranza dei condannati fu scaraventata nelle foibe o nelle miniere di bauxite, alcuni mentre erano ancora in vita.
In Dalmazia, il 10 settembre, mentre Zara veniva presidiata dai tedeschi, a Spalato ed in altri centri entravano i partigiani. Vi rimasero sino al 26 settembre, sostenendo una battaglia difensiva per impedire la presa della città da parte dei tedeschi. Mentre si svolgevano quei 16 giorni di lotta, fra Spalato e Traù i partigiani soppressero 134 italiani, compresi agenti di pubblica sicurezza, carabinieri, guardie carcerarie ed alcuni civili.
Secondo le stime più attendibili, le vittime del periodo settembre-ottobre 1943 nella Venezia Giulia, si aggirano sulle 600-800 persone.
Per assumere il controllo della Venezia Giulia, della provincia di Lubiana e della i Dalmazia i tedeschi lanciarono l’Operazione Nubifragio (Operazione Wolkenbruch). L’offensiva ebbe inizio nella notte del 2 ottobre 1943.
I reparti partigiani furono annientati e costretti alla fuga verso l’interno. Nuclei della resistenza cercarono di rallentare i tedeschi con imboscate, colpi di mano e agguati. Questi reagirono colpendo la popolazione civile, anche di etnia italiana, con fucilazioni indiscriminate, violenze, incendi di villaggi e saccheggi. L’operazione Wolkenbruch si concluse il 9 ottobre con la conquista di Rovigno. Il sistematico rastrellamento dell’Istria andò avanti per tutto il mese di ottobre, furono colpiti con brutalità non solo il movimento partigiano, ma anche civili di tutte le etnie. Le vittime (partigiani, fiancheggiatori, ma soprattutto civili innocenti) furono circa 2.500. Il territorio di Gorizia, fu teatro di un’eroica resistenza all’invasione nazista.
Le provincie di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana furono di fatto annesse al Terzo Reich, andando a costituire la "Zona d’operazioni del Litorale adriatico". Per un breve periodo (1943-1945) fu posta sotto l’amministrazione militare tedesca (di fatto un’annessione) e inclusa nel Governatorato dell’ Adriatisches Küstenland ("Litorale Adriatico") che a sua volta venne posto sotto il diretto controllo di Friedrich Rainer, Gauleiter della Carinzia.
Con l’espulsione dei partigiani divenne possibile eseguire varie ispezioni nella foibe, dove furono rinvenuti i resti di numerosi cadaveri. Il compito di ispezionare le foibe fu affidato al maresciallo dei Vigili del Fuoco Arnaldo Harzarich di Pola, che condusse l’indagini da ottobre a dicembre del 1943.
La propaganda fascista diede ampio risalto a questi ritrovamenti, che suscitarono una forte impressione. Fu pertanto in questo periodo che il concetto di foiba fu associato agli eccidi. Paradossalmente, l’enfasi data ai ritrovamenti alimentò il mito del "barbaro slavo", contribuendo a creare il clima di terrore che favorì il successivo esodo.
Il massacro delle foibe fu allo stesso tempo una conseguenza dei rancori sviluppatisi fra contrapposte nazionalità e uno strumento di repressione violenta operato da un regime antidemocratico.
Tale punto di vista è condiviso anche dalla "Commissione storico-culturale italo-slovena", istituita nel 1993. Nella relazione finale, edita nel 2000, si afferma infatti:
« Paragrafo 11 – Tali avvenimenti si verificarono in un clima di resa dei conti per la violenza fascista e di guerra ed appaiono in larga misura il frutto di un progetto politico preordinato, in cui confluivano diverse spinte: l’impegno ad eliminare soggetti e strutture ricollegabili (anche al di là delle responsabilità personali) al fascismo, alla dominazione nazista, al collaborazionismo ed allo stato italiano, assieme ad un disegno di epurazione preventiva di oppositori reali, potenziali o presunti tali, in funzione dell’avvento del regime comunista, e dell’annessione della Venezia Giulia al nuovo Stato jugoslavo. L’impulso primo della repressione partì da un movimento rivoluzionario che si stava trasformando in regime, convertendo quindi in violenza di Stato l’animosità nazionale ed ideologica diffusa nei quadri partigiani. »
il processo
Nel 1992 è stato istituito un procedimento giudiziario in Italia contro alcuni dei responsabili dei massacri ancora in vita. Tali inchieste furono giustificate dal fatto che all’epoca la Venezia Giulia era ancora ufficialmente sotto sovranità italiana; inoltre i crimini di guerra non sono soggetti a prescrizione. Partite dalla denuncia di Nidia Cernecca, figlia di un infoibato, videro come principali imputati i croati Oscar Piskulic e Ivan Motika. L’inchiesta fu istituita dal pubblico ministero Giuseppe Pittitto. Nel 1997 diversi parlamentari sollecitarono il governo affinché avanzasse richiesta di estradizione per alcuni degli imputati. Il procedimento si è concluso con un nulla di fatto: nel 2004 fu infatti negata la competenza territoriale dei magistrati italiani.
curiosità
Il gerarca fascista Giuseppe Cobolli Gigli proclamò: "La musa istriana ha chiamato Foiba degno posto di sepoltura per chi nella provincia d’Istria minaccia le caratteristiche nazionali dell’Istria".
Lo storico Raoul Pupo non esclude a priori l’uso delle foibe da parte dei fascisti, ma non la ritiene validamente documentata, e osserva che il regime fascista non aveva alcun motivo per nascondere le proprie condanne a morte, e che, viceversa, fece di tutto per pubblicizzare le esecuzioni promulgate dal Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.In ogni caso non appare esserci alcuna nesso diretto fra il possibile uso delle foibe da parte dei fascisti e il loro successivo uso da parte dei partigiani titini.
sacco e vanzetti
– Una storia di ordinaria ingiustizia, che divenne qualcosa di più grande e simbolico. Come lo stesso Bartolomeo Vanzetti comprese, quando rivolgendosi alla giuria che lo condannò alla pena di morte, disse: «Mai vivendo l’intera esistenza avremmo potuto sperare di fare così tanto per la tolleranza, la giustizia, la mutua comprensione fra gli uomini». Il destino dei due anarchici italiani, capri espiatori di un’ondata repressiva lanciata dal presidente Woodrow Wilson contro la «sovversione», non solo smosse le coscienze degli uomini dell’epoca, ma come un fantasma continuò ad agitare l’America per decenni. Finché nel 1977, cinquant’anni dopo la loro morte, il governatore del Massachusetts Michael Dukakis riconobbe in un documento ufficiale gli errori commessi nel processo e riabilitò completamente la memoria di Sacco e Vanzetti.
NICK E BART – Bartolomeo Vanzetti, «Tumlin» per gli amici, nacque nel 1888 a Villafalletto nel Cuneese (che ieri ha commemorato Vanzetti nel cimitero del paese), figlio di un agricoltore. A vent’anni entra in contatto con le idee socialiste e, dopo la morte della madre Giovanna, decide di partire per l’America, miraggio di una vita migliore per gli italiani dei primi del Novecento. Stabilitosi nel Massachusets, milita in gruppi anarchici e nel 1917, per sfuggire all’arruolamento, si trasferisce in Messico. È qui che stringe amicizia con Nicola Sacco, pugliese, classe 1891. Da allora, Nick e Bart diventano inseparabili e frequentano i circoli anarchici.
L’ARRESTO – Il 5 maggio 1920 Nick e Bart, come li chiamavano in America, vengono arrestati perché nei loro cappotti nascondevano volantini anarchici e alcune armi. Tre giorni, i due vengono accusati anche di una rapina avvenuta a South Baintree, un sobborgo di Boston, poche settimane prima del loro arresto, in cui erano stati uccisi a colpi di pistola due uomini, il cassiere della ditta – il calzaturificio «Slater and Morrill» – e una guardia giurata.
LA CONDANNA – Dopo tre processi, i due italiani vengono condannati a morte nel 1921 nonostante contro di loro non ci sia nessuna prova certa, ma addirittura la confessione del detenuto portoricano Celestino Madeiros che ammette di aver preso parte alla rapina e di non aver mai visto Sacco e Vanzetti. E a nulla valsero neppure la mobilitazione della stampa, la creazione di comitati per la liberazione degli innocenti e gli appelli più volte lanciati dall’Italia e da tutto il mondo
CANZONI E FILM – Assassini per l’America, martiri per l’Europa, Sacco e Vanzetti sono stati celebrati da cantanti e registi. Nel 1946-47 (ma uscì nel ’64), Woody Guthrie, il più famoso folksinger americano, pubblicò «Ballads of Sacco e Vanzetti», un lp in cui celebrava il ricordo dei due italiani, simbolo dell’ingiustizia. Anche il cinema ha ricordato la loro storia con un film italo-francese di Giuliano Montaldo del 1971. Due indimenticabili Gian Maria Volontè e Riccardo Cucciolla vestono i panni dei loro corregionali Vanzetti e Sacco, protagonisti di una pellicola divenuta presto un cult grazie anche alla colonna sonora musicata da Ennio Morricone e interpretata da Joan Baez, autrice dei testi. «Voi restate nella nostra memoria con la vostra agonia che diventa vittoria»: sono le parole di «Here’s to you» che, insieme alla «Ballata per Sacco e Vanzetti», è entrata nel repertorio internazionale della canzone d’autore sollevando le coscienze negli Usa su un caso da molti dimenticato.