Qualche giorno fa sui giornali è apparsa la notizia che il comune di Carpi "finalmente" è entrato in possesso dell’area "oltreferrovia" ad est della stazione. Nelle "nobili" intenzioni del comune c’è la realizzazione di almeno 280 appartamenti, negozi, una piazza, un albergo a 5 piani oltre a 574 parcheggi di pertinenza. la decisione di acquisire l’area è stata votata all’unanimità dalla giunta con le solite motivazioni: creare nuovi alloggi ( che resteranno vuoti come le migliaia già vuoti) e nuove attività commerciali (usate da chi poi con questa crisi?) e ovviamente far ripartire l’economia grazie all’edilizia(ricordiamo che il fratello del sindaco è un capoccia della C.M.B.).. il tutto a quale prezzo per chi Carpi la vive da cittadino e non da imprenditore? oltre a tutti i soldi pubblici che verranno spartiti tra F.S. e gli attuali proprietari dell’area c’è l’incalcolabile danno ambientale. Con un poco d’attenzione, aspettando il treno, si può sentire, sugli alberi che verranno abbattuti per costruire, il tambureggiare del picchio, il canto di corteggiamento del fagiano e di miriadi di piccoli uccelli ancora presenti nell’unica area verde ancora raggiungibile dal centro storico. tutto questo, secondo il comune, dovrà essere distrutto per ingrassare speculatori e mazzettari. il tutto rientra nella logica economica che, Carpi in testa, sta prendendo piede in tutta la regione e cioè quella di sfruttare la maggiore risorsa del nostro territorio e cioè IL TERRITORIO stesso!!!!
il tutto ovviamente andrà in mano a speculatori privati che godranno di terreni comunali svenduti con la scusa di abbassare i prezzi delle case (housing sociale) e, come sempre, rispondere alla crisi economica gravando sulle spalle dell’ambiente che sarà saccheggiato nonostante unico bene insostituibile che la collettività "possiede" .
A fronte di un’impennata dell’emergenza abitativa su tutto il
territorio nazionale che vede una
frenata della compravendita per l’impossibilità ad accendere un mutuo,
accompagnata da un aumento dei prezzi del 51% e da un difficile accesso
al mercato dell’affitto si fa strada l’housing sociale. Sotto questa
definizione rientra una nuova categoria di immobili ovvero “residenza
di interesse generale destinata alla locazione”.
Più nello specifico “alloggi realizzati o recuperati da operatori
pubblici e privati, con il ricorso a contributi o agevolazioni
pubbliche-quali esenzioni fiscali, assegnazione di aree od immobili,
fondi di garanzia, agevolazioni di tipo urbanistico”. In pratica si
ipotizza la creazione di fondi immobiliari a partecipazione pubblica e
privata dove ogni soggetto mette in campo gli strumenti che ha a
disposizione: i primi le aree e le agevolazioni, i secondi il vile
denaro Del costruito verrà poi assegnata una certa percentuale con un
affitto abbattuto circa del 30% sul prezzo di mercato, una sorta di
concordato obbligatorio. Nessun legame quindi con il reddito, ma solo
con le oscillazioni di mercato. Il costruttore quindi investe, e grazie
agli sgravi e alla partecipazione del rischio, si presuppone potrà
avere dall’operazione un guadagno del 6/8%, rispetto al 30/40% che
ottiene nelle altre operazioni. La rinuncia al restante 25/35% dovrà
scaturire dall’adesione sul piano etico e come viene descritto in una
relazione sull’housing sociale dall’ANCI (associazione nazionale comuni
italiani) “un interlocutore fa dell’intervento sociale la sua
filosofia”. L’oggettiva condizione di difficoltà in ambito abitativo
porta i costruttori a produrre proposte che non guardano solo alla
vendita e a ricorrere ad una “gestione convenzionata” degli immobili da
costruire. Tutto questo progetto fa già intravedere i rischi connessi: la possibilità di speculazioni e la loro ricaduta sui
soggetti che dovrebbero beneficiare dell’operazione, la svendita di
patrimonio pubblico, la sete di guadagni e le leggi del mercato
sicuramente più forti del senso etico.
La volontà di intraprendere questa strada è già stata esplicitata
nell’articolo 21 collegato alla finanziaria 2008, che materialmente
dirotta i già esigui fondi destinati alle case popolari verso il nuovo
housing sociale. Perché sempre più soggetti non siano esclusi dal
diritto all’abitare è necessaria un’inversione di tendenza sia a
livello nazionale che locale.
E’ un’altra la strada che dobbiamo intraprendere, una strada meno
orientata a nuove cementificazioni e con dentro una sfida ai potentati
immobiliari. Dobbiamo ripensare la città da un punto di vista pubblico
sottraendola all’abbraccio del mattone privato. Non è la rendita che
deve disegnare la città, ma chi la vive ogni giorno.
..è più bella?